Don Antonio Cecconi sollecita la Chiesa sulla questione militare (citando anche l’Hub di Pisa)

Cara Set­ti­mana (rivista edita dai Dehoniani di Bologna),
in que­sto mese di gen­naio, aperto ancora una volta
con la gior­nata mon­diale della pace, vor­rei lan­ciare qual­che pro­
vo­ca­zione sul tema, magari aprendo un con­fronto da que­ste colonne
per riflet­tere se e come la pace è un punto fermo impor­tante nella
coscienza dei cre­denti, e quanto nelle nostre atten­zioni pasto­rali
abbia spa­zio e signi­fi­cato l’educazione alla pace, anche in rife­ri­
mento a quella “vita buona del Van­gelo” messa a tema dalla CEI. E per
ricor­darci, poi­ché mi pare che ce ne sia biso­gno, che non si può
affron­tare il tema della pace senza con­dan­nare quello che è il suo
con­tra­rio, cioè la guerra, la vio­lenza non solo per­so­nale ma anche
isti­tu­zio­na­liz­zata, né senza cri­ti­care scelte poli­ti­che insen­
si­bili o ina­datte ad atti­vare per­corsi di paci­fi­ca­zione.
Ho par­
lato di pro­vo­ca­zione a par­tire dal fatto di essermi sen­tito pro­vo­
cato tro­vando, sul numero di Avve­nire del 30 dicem­bre u.s., una pub­
bli­cità a tutta pagina (l’ultima) della FINMECCANICA, azienda ita­
liana — o meglio, gruppo di aziende — la cui atti­vità prin­ci­pale è
nel set­tore difesa e aero­spa­zio, vale a dire pro­du­zione e ven­dita
di armi da guerra. La stessa pub­bli­cità è apparsa in quel periodo sul
Cor­riere della sera e altre grosse testate, por­tando nelle casse dei
gior­nali parec­chi soldi. In cam­bio dei quali, in un colpo solo, il
“quo­ti­diano della CEI” ha sor­vo­lato su un paio dei dieci coman­da­
menti: “non ammaz­zare” ma anche “non dire falsa testi­mo­nianza”.
Infatti il testo ospi­tato dall’Avvenire era estre­ma­mente reti­cente,
al limite del falso, sulla prin­ci­pale atti­vità di Fin­mec­ca­nica.
Che pro­duce armi non solo difen­sive, ma anche per l’attacco, stru­
menti sofi­sti­cati estre­ma­mente deva­stanti, desti­nati a tutt’altro
scopo che la sal­va­guar­dia e la restau­ra­zione della pace, o le
azioni di poli­zia inter­na­zio­nale che, sulla base della Costi­tu­
zione, dovreb­bero essere le uni­che atti­vità mili­tari con­sen­tite
alle nostre forze armate. Fin­mec­ca­nica pro­duce gli “stru­menti di
lavoro” per ope­ra­zioni che un cri­stiano dovrebbe cer­car di evi­tare
e, se ad esse obbli­gato, dichia­rare la pro­pria obie­zione di
coscienza.
Il pagi­none pub­bli­ci­ta­rio, che allu­deva gene­ri­ca­
mente ad atti­vità nel campo della difesa senza che vi com­pa­risse l’
aggettivo mili­tare, evi­den­ziava soprat­tutto il numero delle per­
sone occu­pate: 75.000 posti di lavoro, di cui 45.000 in Ita­lia. Non
so se ciò basti a giu­sti­fi­care Avve­nire. Con la stessa logica si
potreb­bero pub­bli­ciz­zare la pro­sti­tu­zione, le atti­vità mafiose,
la pro­du­zione dei far­maci abor­tivi: set­tori che danno lavoro a
molte per­sone!
Pur­troppo, quella pub­bli­cità mi è sem­brata emble­ma­
tica di una Chiesa che fa sem­pre più fatica a par­lare di pace, a edu­
care alla pace, a pren­dere le distanze dalla guerra e dagli appa­rati
mili­tari. Una Chiesa che ripe­tu­ta­mente accetta e bene­dice le cosid­
dette “ope­ra­zioni di pace” anche quando si tratta di inter­venti
armati miranti soprat­tutto a tute­lare inte­ressi stra­te­gici ed eco­
no­mici dell’Occidente. Anche ulti­ma­mente, pur­troppo in occa­sione
delle ese­quie di mili­tari ita­liani uccisi in Afgha­ni­stan, si assi­
stite a riti e ome­lie in cui chi cele­bra non si limita all’annuncio
della morte e risur­re­zione di Gesù e della spe­ranza cri­stiana nella
vita eterna, ma scon­fina in con­cetti e toni da “reli­gione civile”
con forme nean­che troppo impli­cite di avallo a inter­venti bel­lici
sbri­ga­ti­va­mente defi­niti di tutela della pace, chia­mando senza
esi­ta­zione “ope­ra­tori di pace” i mili­tari coin­volti. Credo che
sia il caso di fer­marci a riflet­tere sul signi­fi­cato che sem­pre
più chia­ra­mente assu­mono le mis­sioni mili­tari all’estero del
nostro paese, a comin­ciare dall’Afghanistan: ope­ra­zioni di cui è sem­
pre più arduo defi­nire la plau­si­bi­lità, l’obiettivo, la durata. Per
di più, con la fine di fatto (se non di diritto) dell’esercito di leva,
gli ope­ra­tori della difesa sono per­sone che scel­gono libe­ra­mente
una pro­fes­sione ad alto rischio, con rela­tivi alti com­pensi. La
Patria, la ban­diera, gli ideali hanno lo stesso valore sim­bo­lico per
tutti i mili­tari che scel­gono que­sto “mestiere”? Che dif­fe­renza c’
è, nella sostanza, rispetto ad altri lavori peri­co­losi e ad altre
morti sul lavoro? E quali sono i “ritorni” di natura poli­tica e anche
eco­no­mica di que­ste ope­ra­zioni?
Pur in pre­senza di legit­timi
dubbi sull’ambiguità del con­cetto di “difesa”, sono in atto forme di
pro­pa­ganda tra i gio­vani del ser­vi­zio mili­tare, in par­ti­co­lare
gli sta­ges nei diversi corpi delle forze armate di ragazzi e ragazze,
con il rila­scio di cre­diti for­ma­tivi. In con­tem­po­ra­nea, il ser­
vi­zio civile si avvia alla scom­parsa per i con­ti­nui tagli appor­
tati dal governo a quel che soprav­vive dell’esperienza; con il col­pe­
vole oblio del signi­fi­cato che ha avuto per molti dei nostri gio­
vani, in ter­mini di edu­ca­zione alla pace e alla soli­da­rietà.
Uno
dei pochi set­tori sta­tali (l’unico?) su cui non si è abbat­tuta la
scure di Tre­monti è la difesa, o meglio il riarmo, dal momento che il
mini­stro Igna­zio La Russa si pre­para a fir­mare il con­tratto per la
for­ni­tura di ben 131 aerei da guerra, ono­rando così un impe­gno
assunto 12 anni fa dal governo pre­sie­duto da Mas­simo D’Alema. Costo
finale sti­mato: oltre 15 miliardi di euro. Gli aerei in que­stione
sono del tipo Joint Strike F 35, cac­cia­bom­bar­diere mono­po­sto
molto sofi­sti­cato. Una ricerca dell’Archivio disarmo lo defi­ni­sce
“dotato di grande forza distrut­tiva e in grado di tra­spor­tare armi
nucleari”. La recente legge di sta­bi­lità (l’ex finan­zia­ria) ha stan­
ziato i primi 471 milioni, la cifra ini­ziale che con­sente all’Italia
di par­te­ci­pare alla pro­get­ta­zione e costru­zione del nuovo aereo
da guerra (per fare un raf­fronto, alle poli­ti­che fami­liari sono
stati asse­gnati 47 milioni). Ma que­sta è solo una voce del nutrito
pro­gramma appro­vato, con l’astensione del PD, dalla Com­mis­sione
difesa del Senato: 10 eli­cot­teri, siluri per som­mer­gi­bili, arma­
menti da attacco da mon­tare sugli eli­cot­teri, mezzi navali, mor­tai
e altro, per una cifra totale che si aggira sui 700 milioni da spen­
dere da qui al 2018. All’aumento della stru­men­ta­zione mili­tare si
accom­pa­gna la pro­get­ta­zione di inse­dia­menti e strut­ture logi­
sti­che a sup­porto dell’utilizzo dei mezzi mili­tari. Pro­prio a Pisa,
la mia città, l’aeroporto mili­tare sarà ampliato per diven­tare un
hub, vale a dire una strut­tura di smi­sta­mento del traf­fico aereo e
di tutto ciò che dovrà essere inviato all’estero per ope­ra­zioni mili­
tari con­cer­tate in rela­zione alle alleanze stra­te­gi­che inter­na­
zio­nali. Que­ste forme di espan­sione dell’attività mili­tare avven­
gono con poche e incom­plete infor­ma­zioni ai cit­ta­dini, men­tre è
pres­so­ché scom­parso il con­trollo par­la­men­tare sulla pro­du­zione
e la ven­dita di armi. Le ammi­ni­stra­zione locali, indi­pen­den­te­
mente dal colore poli­tico, vedono di buon occhio atti­vità che forse
por­te­ranno un po’ di lavoro e di denaro al ter­ri­to­rio.
Fer­mia­
moci un poco a riflet­tere, chie­dia­moci se le stra­te­gie in atto da
parte dell’occidente, Ita­lia com­presa, siano il mezzo più adatto a
difen­dere la pace, com­bat­tere il ter­ro­ri­smo, avviare pro­cessi
verso la demo­cra­zia. È sotto i nostri occhi il fal­li­mento di inter­
venti come quelli in Agha­ni­stan e in Iraq. Pro­prio in quest’ultimo
paese il Papa ha lamen­tato, nel recente mes­sag­gio per la gior­nata
della pace, il dif­fon­dersi della vio­lenza con­tro i cri­stiani: non
è uno degli effetti della guerra “con­tro il male”?
All’accresciuta
mili­ta­riz­za­zione della poli­tica estera, cor­ri­sponde il quasi
totale sman­tel­la­mento, da parte dell’Italia, della coo­pe­ra­zione
allo svi­luppo ridotta a stan­zia­menti irri­sori, fram­men­tari, emer­
gen­ziali, peral­tro causa di note­voli dif­fi­coltà per le ONG e il
volon­ta­riato inter­na­zio­nale; una delle prin­ci­pali voci di spesa
è per il respin­gi­mento degli immi­grati. Ciò atte­sta l’indifferenza
delle isti­tu­zioni, e anche di larga parte della società civile e dei
mass-media, verso la povertà pla­ne­ta­ria, la fame, la dispe­ra­zione
dei popoli più poveri soprat­tutto nel con­ti­nente afri­cano. In pochi
anni è quasi scom­parsa la sen­si­bi­lità matu­rata in occa­sione del
Giu­bi­leo del 2000 per la remis­sione del debito estero dei paesi più
poveri.
A que­sto punto mi chiedo se la Chiesa ita­liana non possa e
non debba mani­fe­stare pre­oc­cu­pa­zione, pren­dere la parola con­tro
le pro­spet­tive di riarmo e l’assenza di poli­ti­che di coo­pe­ra­
zione inter­na­zio­nale, rilan­ciare l’educazione alla pace soprat­
tutto delle nuove gene­ra­zioni. Fatico a capire per­ché que­sta atten­
zione non debba essere altret­tanto forte delle ripe­tute prese di posi­
zione con­tro l’aborto e l’eutanasia, a difesa della sacra­lità della
vita e del suo valore invio­la­bile.
Affin­ché que­sto avvenga, oso lan­
ciare dalle colonne di Set­ti­mana una pro­po­sta: che la CEI, nella
pros­sima assem­blea gene­rale, metta all’ordine del giorno il tema
della pace e la respon­sa­bi­lità rispetto ad essa di chi ci governa,
pren­dendo una posi­zione chiara, pre­cisa, evan­ge­lica con­tro l’
aumento delle spese mili­tari e in par­ti­co­lare con­tro l’adozione da
parte delle forze armate ita­liane di stru­menti tipi­ca­mente offen­
sivi. Ogni cre­dente, ogni bat­tez­zato – preti, laici, reli­giosi,
reli­giose – che ha a cuore la pace come dono di Dio affi­dato all’
umanità, ogni cit­ta­dino cri­stiano che crede in Gesù Cri­sto “che è
la nostra pace” e vuole rispet­tare la Costi­tu­zione che “ripu­dia la
guerra” si fac­cia por­ta­tore della richie­sta al pro­prio Vescovo.
Non è tempo per afflig­gersi o recri­mi­nare, per ras­se­gnarsi o arrab­
biarsi: con umiltà, rispetto e fidu­ciosa spe­ranza mani­fe­stiamo ai
nostri pastori il desi­de­rio di pace affin­ché, se lo cre­de­ranno
oppor­tuno, diano voce, forza e rico­no­sci­mento a una pas­sione che è
nel cuore di tanta parte del popolo di Dio
don Anto­nio Cec­coni
par­roco di Calci e della Val­gra­ziosa (Pisa)
18 gen­naio 2011
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