Cara Settimana (rivista edita dai Dehoniani di Bologna),
in questo mese di gennaio, aperto ancora una volta
con la giornata mondiale della pace, vorrei lanciare qualche pro
vocazione sul tema, magari aprendo un confronto da queste colonne
per riflettere se e come la pace è un punto fermo importante nella
coscienza dei credenti, e quanto nelle nostre attenzioni pastorali
abbia spazio e significato l’educazione alla pace, anche in riferi
mento a quella “vita buona del Vangelo” messa a tema dalla CEI. E per
ricordarci, poiché mi pare che ce ne sia bisogno, che non si può
affrontare il tema della pace senza condannare quello che è il suo
contrario, cioè la guerra, la violenza non solo personale ma anche
istituzionalizzata, né senza criticare scelte politiche insen
sibili o inadatte ad attivare percorsi di pacificazione.
Ho par
lato di provocazione a partire dal fatto di essermi sentito provo
cato trovando, sul numero di Avvenire del 30 dicembre u.s., una pub
blicità a tutta pagina (l’ultima) della FINMECCANICA, azienda ita
liana — o meglio, gruppo di aziende — la cui attività principale è
nel settore difesa e aerospazio, vale a dire produzione e vendita
di armi da guerra. La stessa pubblicità è apparsa in quel periodo sul
Corriere della sera e altre grosse testate, portando nelle casse dei
giornali parecchi soldi. In cambio dei quali, in un colpo solo, il
“quotidiano della CEI” ha sorvolato su un paio dei dieci comanda
menti: “non ammazzare” ma anche “non dire falsa testimonianza”.
Infatti il testo ospitato dall’Avvenire era estremamente reticente,
al limite del falso, sulla principale attività di Finmeccanica.
Che produce armi non solo difensive, ma anche per l’attacco, stru
menti sofisticati estremamente devastanti, destinati a tutt’altro
scopo che la salvaguardia e la restaurazione della pace, o le
azioni di polizia internazionale che, sulla base della Costitu
zione, dovrebbero essere le uniche attività militari consentite
alle nostre forze armate. Finmeccanica produce gli “strumenti di
lavoro” per operazioni che un cristiano dovrebbe cercar di evitare
e, se ad esse obbligato, dichiarare la propria obiezione di
coscienza.
Il paginone pubblicitario, che alludeva generica
mente ad attività nel campo della difesa senza che vi comparisse l’
aggettivo militare, evidenziava soprattutto il numero delle per
sone occupate: 75.000 posti di lavoro, di cui 45.000 in Italia. Non
so se ciò basti a giustificare Avvenire. Con la stessa logica si
potrebbero pubblicizzare la prostituzione, le attività mafiose,
la produzione dei farmaci abortivi: settori che danno lavoro a
molte persone!
Purtroppo, quella pubblicità mi è sembrata emblema
tica di una Chiesa che fa sempre più fatica a parlare di pace, a edu
care alla pace, a prendere le distanze dalla guerra e dagli apparati
militari. Una Chiesa che ripetutamente accetta e benedice le cosid
dette “operazioni di pace” anche quando si tratta di interventi
armati miranti soprattutto a tutelare interessi strategici ed eco
nomici dell’Occidente. Anche ultimamente, purtroppo in occasione
delle esequie di militari italiani uccisi in Afghanistan, si assi
stite a riti e omelie in cui chi celebra non si limita all’annuncio
della morte e risurrezione di Gesù e della speranza cristiana nella
vita eterna, ma sconfina in concetti e toni da “religione civile”
con forme neanche troppo implicite di avallo a interventi bellici
sbrigativamente definiti di tutela della pace, chiamando senza
esitazione “operatori di pace” i militari coinvolti. Credo che
sia il caso di fermarci a riflettere sul significato che sempre
più chiaramente assumono le missioni militari all’estero del
nostro paese, a cominciare dall’Afghanistan: operazioni di cui è sem
pre più arduo definire la plausibilità, l’obiettivo, la durata. Per
di più, con la fine di fatto (se non di diritto) dell’esercito di leva,
gli operatori della difesa sono persone che scelgono liberamente
una professione ad alto rischio, con relativi alti compensi. La
Patria, la bandiera, gli ideali hanno lo stesso valore simbolico per
tutti i militari che scelgono questo “mestiere”? Che differenza c’
è, nella sostanza, rispetto ad altri lavori pericolosi e ad altre
morti sul lavoro? E quali sono i “ritorni” di natura politica e anche
economica di queste operazioni?
Pur in presenza di legittimi
dubbi sull’ambiguità del concetto di “difesa”, sono in atto forme di
propaganda tra i giovani del servizio militare, in particolare
gli stages nei diversi corpi delle forze armate di ragazzi e ragazze,
con il rilascio di crediti formativi. In contemporanea, il ser
vizio civile si avvia alla scomparsa per i continui tagli appor
tati dal governo a quel che sopravvive dell’esperienza; con il colpe
vole oblio del significato che ha avuto per molti dei nostri gio
vani, in termini di educazione alla pace e alla solidarietà.
Uno
dei pochi settori statali (l’unico?) su cui non si è abbattuta la
scure di Tremonti è la difesa, o meglio il riarmo, dal momento che il
ministro Ignazio La Russa si prepara a firmare il contratto per la
fornitura di ben 131 aerei da guerra, onorando così un impegno
assunto 12 anni fa dal governo presieduto da Massimo D’Alema. Costo
finale stimato: oltre 15 miliardi di euro. Gli aerei in questione
sono del tipo Joint Strike F 35, cacciabombardiere monoposto
molto sofisticato. Una ricerca dell’Archivio disarmo lo definisce
“dotato di grande forza distruttiva e in grado di trasportare armi
nucleari”. La recente legge di stabilità (l’ex finanziaria) ha stan
ziato i primi 471 milioni, la cifra iniziale che consente all’Italia
di partecipare alla progettazione e costruzione del nuovo aereo
da guerra (per fare un raffronto, alle politiche familiari sono
stati assegnati 47 milioni). Ma questa è solo una voce del nutrito
programma approvato, con l’astensione del PD, dalla Commissione
difesa del Senato: 10 elicotteri, siluri per sommergibili, arma
menti da attacco da montare sugli elicotteri, mezzi navali, mortai
e altro, per una cifra totale che si aggira sui 700 milioni da spen
dere da qui al 2018. All’aumento della strumentazione militare si
accompagna la progettazione di insediamenti e strutture logi
stiche a supporto dell’utilizzo dei mezzi militari. Proprio a Pisa,
la mia città, l’aeroporto militare sarà ampliato per diventare un
hub, vale a dire una struttura di smistamento del traffico aereo e
di tutto ciò che dovrà essere inviato all’estero per operazioni mili
tari concertate in relazione alle alleanze strategiche interna
zionali. Queste forme di espansione dell’attività militare avven
gono con poche e incomplete informazioni ai cittadini, mentre è
pressoché scomparso il controllo parlamentare sulla produzione
e la vendita di armi. Le amministrazione locali, indipendente
mente dal colore politico, vedono di buon occhio attività che forse
porteranno un po’ di lavoro e di denaro al territorio.
Fermia
moci un poco a riflettere, chiediamoci se le strategie in atto da
parte dell’occidente, Italia compresa, siano il mezzo più adatto a
difendere la pace, combattere il terrorismo, avviare processi
verso la democrazia. È sotto i nostri occhi il fallimento di inter
venti come quelli in Aghanistan e in Iraq. Proprio in quest’ultimo
paese il Papa ha lamentato, nel recente messaggio per la giornata
della pace, il diffondersi della violenza contro i cristiani: non
è uno degli effetti della guerra “contro il male”?
All’accresciuta
militarizzazione della politica estera, corrisponde il quasi
totale smantellamento, da parte dell’Italia, della cooperazione
allo sviluppo ridotta a stanziamenti irrisori, frammentari, emer
genziali, peraltro causa di notevoli difficoltà per le ONG e il
volontariato internazionale; una delle principali voci di spesa
è per il respingimento degli immigrati. Ciò attesta l’indifferenza
delle istituzioni, e anche di larga parte della società civile e dei
mass-media, verso la povertà planetaria, la fame, la disperazione
dei popoli più poveri soprattutto nel continente africano. In pochi
anni è quasi scomparsa la sensibilità maturata in occasione del
Giubileo del 2000 per la remissione del debito estero dei paesi più
poveri.
A questo punto mi chiedo se la Chiesa italiana non possa e
non debba manifestare preoccupazione, prendere la parola contro
le prospettive di riarmo e l’assenza di politiche di coopera
zione internazionale, rilanciare l’educazione alla pace soprat
tutto delle nuove generazioni. Fatico a capire perché questa atten
zione non debba essere altrettanto forte delle ripetute prese di posi
zione contro l’aborto e l’eutanasia, a difesa della sacralità della
vita e del suo valore inviolabile.
Affinché questo avvenga, oso lan
ciare dalle colonne di Settimana una proposta: che la CEI, nella
prossima assemblea generale, metta all’ordine del giorno il tema
della pace e la responsabilità rispetto ad essa di chi ci governa,
prendendo una posizione chiara, precisa, evangelica contro l’
aumento delle spese militari e in particolare contro l’adozione da
parte delle forze armate italiane di strumenti tipicamente offen
sivi. Ogni credente, ogni battezzato – preti, laici, religiosi,
religiose – che ha a cuore la pace come dono di Dio affidato all’
umanità, ogni cittadino cristiano che crede in Gesù Cristo “che è
la nostra pace” e vuole rispettare la Costituzione che “ripudia la
guerra” si faccia portatore della richiesta al proprio Vescovo.
Non è tempo per affliggersi o recriminare, per rassegnarsi o arrab
biarsi: con umiltà, rispetto e fiduciosa speranza manifestiamo ai
nostri pastori il desiderio di pace affinché, se lo crederanno
opportuno, diano voce, forza e riconoscimento a una passione che è
nel cuore di tanta parte del popolo di Dio
don Antonio Cecconi
parroco di Calci e della Valgraziosa (Pisa)
18 gennaio 2011